Elettromagnetismo - elettrochimica - voltametri
Voltametro
SCHEDA TECNICA
INVENTARISTATO
Un voltametro a campanelle separate e graduate
Voltametro
Voltametro
Voltametro
1818Nº //
1838Nº //
P.A.52
1870311
1925b105
2016596
Completo
Danneggiato
Funzionante
Dimensioni
MATERIALI: ottone, rame, platino, ferro, vetro, vernice
BIBLIOGRAFIA & PRESTITI
DATABASE
Datazione: 1859 - 1860
Non esposto
Descrizione          Funzionamento: spiegazione - verifica          Testi&Curiosità


Immagine, Malfi, © D 2016
Fonti
Battelli A. - Cardani C. (1925) Vol. 4, pag. 694, fig. 479
Besso B. (1875) Vol. 3, pag. 92, fig. 101
Cazin A. (1881) pag. 4, fig. 1
Colson R. (1885) pag. 17, fig. 5
Daguin P. A. (1863) pag. 545, fig. 549
Desbeaux E. (1892) pag. 353, fig. 276
Felice M. (1887/90) Vol. 2, pag. 212, fig. 85
Galileo Officine (1929) pag. 200, fig. 5479
Joubert J. (1889) pag. 138, fig. 103
Magrini R. (1940) pag. 294, fig. N1157
Milani G. (1869) Vol. 6, pag. 49, fig. 25
Perucca E. (1937) Vol. 2, pag. 643, fig. 745
Premoli P. (1904) Vol. 1, pag. 328, fig. 481
Privat Deschanel A. (1890) pag. 627, fig. 568
 

Questo strumento per l'elettrolisi dell'acqua è stato ritrovato nel marzo 2001, insieme ad altri apparati di fisica e di chimica, a seguito dello sgombero di un locale adibito a magazzino per fornire agli studenti un luogo attrezzato con una serie di armadietti. Una volta pulito (Malfi, marzo 2001), rumuovendo la polvere, le incrostazioni sul vetro e il tenace strato di ossido che copriva le superfici metalliche sia di rame che d'ottone, si è proceduto a verificarne il funzionamento (Malfi, novembre 2001), operazione conclusasi con esito positivo. Questa operazione ha permesso di rilevare inoltre la presenza di una fessura a livello della superficie laterale e in parte sul fondo del vaso conico di vetro, incrinatura che per fortuna non compromette la funzionalità dello strumento (non si hanno cioè perdite di liquido).

Lo strumento è composto da una base in ferro verniciata di nero che sorregge l'apparato vero e proprio per l'elettrolisi dell'acqua. Questo presenta il vaso conico di vetro di cui si è parlato poch'anzi, dal cui fondo a breve distanza spuntano due cortissime punte di platino, che sono gli elettrodi della cella elettrolitica. Le punte trapassano il fondo di vetro da parte a parte e presentano un allarganento circolare in stagno ad esse saldato di diametro all'incirca uguale a quello delle provette di vetro e che si appoggia al fondo del contenitore. Inolte le punte terminano con una filettatura su cui si innesta un bullone in rame, il cui scopo è duplice: schiacciare una guarnizione di cuoio per elettrodo che impedisce insieme al mastice che chiude gli interstizi i trafilamanti di liquido e unire elettricamente per mezzo di un collegamento in rame gli elettrodi ai terminali (due viti a pressione di ottone) che ricevono gli elettrodi della pila necessaria per far funzionare lo strumento.

Una volta collegata la pila (per la verifica si è utilizzato un moderno generatore di corrente), si riempiva la bacinella di vetro con l'acqua leggermente acidula (si aggiungeva un po' di acido solforico, per rispettare l'ordine di scarica agli elettrodi) e si collocavano sopra a ciscun elettrodo una provetta di vetro riempita con la stessa soluzione della vasca. Quando si capovolgono le provette si deve avere l'accortezza di non lasciare aria intrappolata dentro di esse. Se ciò devesse accadere, lo strumento funzionerebbe ugualemente, ma non si potrebbero eseguire le misurazioni di volume sui gas prodotti dal processo di lisi. La prova di funzionamento con una tensione di circa 7 V ha visto lo sviluppo di igrogeno gassoso ovviamente sull'elettrodo negativo e con molta difficoltà di ossigeno sull'altro elettrodo. In effetti questo risultato era del tutto prevedibile, dal momento che gli elettrodi non sono stati puliti (e ciò per non danneggiarli). Lo sviluppo di ossigeno sull'elettrodo positivo con "meno perdite possibili" è in effetti la parte più difficile da realizzare quando si effettua questo esperimento anche con gli elettrodi puliti e quindi a maggior ragione con gli elettrodi incrostati. Quindi se è vero che dopo un po' di tempo il volume di idrogeno è circa il doppio di quello d'ossigeno, in pratica si ottiene molto più idrogeno del dovuto.

Curioso è il fatto che le due provette dello strumento non siano della stessa altezza. E' possibile che una non appartenga a questo strumento, ma ad una altro simile nella modalità di funzionamento, ma diverso nella forma, che è stato trovato vicino a questo e che deve essere ancora pulito (Voltametro di Bertrand). Fino a quando non si saranno trovate le altre due provette mancanti, resta sempre aperta l'ipotesi che lo strumento sia invece nato con due provette con diversa altezza, anche se molto improbabile per motivi estetici, perché all'epoca molto curati.